Come si gioca all’economia digitale

Candy Crush e l’algoritmo delle balene: il lato nascosto dei giochi gratuiti, tra dati, pubblicità e potere delle piattaforme.
Nel panorama delle app gratuite, i giochi per smartphone sembrano innocui passatempi da riempire nei ritagli di tempo. Eppure, dietro le caramelle colorate di Candy Crush si nasconde un’economia sofisticata e ipertecnologica, alimentata da dati, pubblicità e algoritmi di apprendimento automatico. Il sociologo Donald MacKenzie ci guida in questo retroscena digitale, raccontando come le “balene” – i grandi spenditori – siano diventate il vero bottino conteso da un mercato in continua evoluzione. Un articolo che, al di là del gioco, ci fa riflettere sul modo in cui il nostro smartphone ci osserva… e ci monetizza.
Non fatevi ingannare dai colori zuccherosi e dalla voce entusiasta che esclama “Divine! Sweet!”: Candy Crush è molto più di un gioco passatempo. Come spiega il sociologo britannico Donald MacKenzie, questo celebre gioco “match 3” è anche una macchina da soldi ben oliata, al centro di un complesso ecosistema economico che rivela la natura profonda dell’economia digitale.
Lanciato nel 2012 e scaricato oltre cinque miliardi di volte, Candy Crush ha generato più di 20 miliardi di dollari per King e Activision Blizzard, prima di finire nell’orbita di Microsoft. Eppure il gioco è gratuito. Come si crea ricchezza con un prodotto che non si paga? “Prima o poi si resta temporaneamente senza vite”, racconta MacKenzie, “e a quel punto è difficile resistere alla tentazione di spendere una piccola somma per continuare”.
Il cuore del modello di business è la “monetizzazione” di una minoranza selezionata di utenti: quelli che sono disposti a pagare, anche cifre elevate. “Tra il 95 e il 97 per cento degli utenti che partecipano a un gioco non monetizzano mai”, riferisce l’esperto Eric Seufert. Ma quando i giocatori sono centinaia di milioni, anche quel piccolo scarto percentuale può bastare. I più redditizi sono i grandi spenditori, le famigerate “balene”.
Attirare queste balene richiede strategie raffinate, campagne pubblicitarie aggressive e un uso massiccio dei dati. Il mezzo migliore per promuovere un gioco? Un altro gioco. “Io compro utenti da te, tu compri utenti da me, si genera un sacco di ricavi”, ironizza Seufert, ma “in realtà, alla fine, tutto viene un po’ vanificato dal fatto che siamo semplicemente comprando l’uno dall’altro”.
Nel sottosuolo di questa economia iperconnessa lavora senza sosta il motore dell’apprendimento automatico. Le piattaforme come Meta e Google ottimizzano le inserzioni in tempo reale, basandosi su una massa di dati spesso invisibile agli occhi umani. “Una grande piattaforma per la pubblicità digitale è come un iceberg”, sintetizza Seufert: la parte visibile è minima, tutto il resto si gioca sotto.
MacKenzie racconta anche i tentativi della Apple di rallentare questo meccanismo, introducendo l’App Tracking Transparency nel 2021. Ma la battaglia per il controllo dei dati è tutt’altro che finita: “La Apple ha potuto tirare dritto perché ha un potere infrastrutturale”, osserva il sociologo, ricordando che chi controlla l’App Store controlla buona parte del mercato.
Il risultato è un’economia digitale sempre più dipendente da pochi attori e da algoritmi che nessuno governa davvero. E se prima “sapevano che io ero una balena match 3”, dice una fonte a MacKenzie, “ora sanno solo che a casa mia c’è una balena match 3”. Un’ombra meno precisa, ma ancora utile per indirizzare la prossima pubblicità.
“Chi ha più dati vince”, dice uno degli specialisti intervistati. Ma la domanda resta: vogliamo davvero che a giocare l’economia digitale siano solo le piattaforme?
Fonte: Donald MacKenzie, “Come si gioca all’economia digitale”, Internazionale, n. 1612, 1 maggio 2025.
Articolo originariamente pubblicato sulla London Review of Books con il titolo “Hey big spender: what your smartphone knows about you”.