Come i computer imparano il significato delle parole

In “Rappresentare il significato lessicale”, Diego Marconi spiega che per capire davvero il senso di una frase non basta sapere come si incastrano le parole tra loro: bisogna prima conoscere il significato di ciascuna parola. Come nota citando Johnson-Laird, «non possiamo seriamente sostenere di aver specificato le condizioni di verità di “Il gatto è sul tappeto” […] se non siamo in grado di distinguerle da quelle di “Il libro è sul tavolo”» .
Marconi ricorda poi che, quando costruiamo un programma di Intelligenza Artificiale, il computer non può dare per scontato cosa vogliono dire le parole: «i significati delle parole devono essere effettivamente rappresentati, altrimenti il sistema non entrerà in contatto con la realtà “esterna” su cui si suppone debba operare» . Questo ci spinge a riflettere su quali conoscenze siano davvero “semantiche” e quali invece siano semplici nozioni di fatto, come sapere che «i gatti sono animali» .
L’autore sottolinea che non esiste un unico modo di conoscere le parole: non tutti sanno la stessa cosa su parole come “oro”, e non c’è una sola regola che descriva il significato di tutte le parole. Secondo Marconi, è più utile concentrarsi su come rappresentare il significato piuttosto che elencare tutto quello che sappiamo. In particolare, servono due capacità essenziali: una rete di relazioni tra parole – per esempio sapere che «le rose sono fiori» o che «per mangiare si apre la bocca» – che ci aiuti a ragionare per inferenze; e la facoltà di “mappare” le parole sul mondo, cioè di riconoscere un gatto da un cane o di distinguere chi corre da chi cammina .
Richiamando ancora Johnson-Laird, Marconi osserva che se un sistema sa proiettare correttamente le parole sul mondo, può ricavare da quel modello molte relazioni senza doverle scrivere a parte. Tuttavia, «non è per il fatto di essere in grado di applicare correttamente una parola nella maggior parte dei casi che si possiede una conoscenza esaustiva delle sue relazioni semantiche»: molti sanno riconoscere un “tubo catodico” o un “manato” senza conoscere tutti i dettagli .
Infine, l’autore avverte che parole diverse richiedono strumenti diversi: per oggetti concreti come sedie può servire una struttura a frame, ma per sostanze come l’oro o per verbi astratti come “credere” non basta né un’analisi strutturale né una funzionale. Non esiste una soluzione unica per tutte le parole, e per capirle bisogna studiarne molte classi diverse .