Storia giovane di giovane passione
Racconto di Gigio

Corse la corsa più veloce della sua vita, anche se non la più lunga. La meta non era più così lontana e nemmeno nebbiosa. Solo un velo di fumo la circuiva, una coltre la offuscava. Non aveva ancora capito. Ma doveva correre. Nonostante il caldo. Nonostante il caldo. Che strano ritrovarsi lì. Correndo. Senza essere in nessun posto, o no Eraclito? Senza essere più nulla di così importante. Proprio lui. Quante cose si possono capire correndo sotto il sole. Velocemente.
Non sono certo le parole il mezzo migliore per tentare di spiegare ciò che stava accadendo. Chissà, forse scappava. Forse. Ma è veramente necessario capire se si sfugge, ci si divincola o ci si dirige verso. A che servono le scuse. A chi servono? Non a Luca. Mai. Non ci pensava neppure. La cosa insolita era la corsa che lo vedeva protagonista. Non che non fosse sportivo,no no, ma quella corsa non gli si addiceva proprio. E poi dove, meglio, verso cosa?
Era madido. Le sue gambe battevano un ritmo arancione. L’ho detto che le parole non possono rendere quello che stavo vedendo riparato nella mia postazione. Forse ero anche influenzato. Dalla musica. Ascolto sempre la musica. E distorce tutto quello che percepisco. Ma era così chiaro che Luca correva una corsa arancione e che quella corsa proprio non gli si addiceva. Lo conosco bene Luca, io. Per questo non gliene ho mai parlato, dopo.
La statale, l'asfalto, altro non faceva che aumentare le difficoltà nella respirazione e a poco servivano quei lunghi tir rossi e bianchi ed il loro spostamento d’aria.
Io ero in una postazione privilegiata. Chissà se casuale. Abbracciavo circa due chilometri della strada che costeggia il fiume dove i miei genitori da piccoli facevano il bagno. Era verde. Stupendo. Un colore acceso che contrappuntava arditamente l’arancione che vedevo dalle mie orecchie. Era uno strano quadro in movimento. Tutto era inutile. Ma si trovava lì e non aveva regione alcuna di essere altrove. Così mi piace. E così vedo le cose. È per questo che ho sempre un pod carico di mp3 con me. I quadri cantano la musica di chi li ascolta e non il fruscio sbadato di chi li guarda.
Luca era tosto. Nella sua vita non poteva recitare nessun altro personaggio. Bello. E già questo basterebbe. Ma c’è dell’altro. Ha qualcosa in più. Uno strano riverbero che migliora tutto ciò che gli ruota attorno. E questa è una dote. Nessun merito. Ma perbacco...non è da tutti. Strano solo che, oriundo, continuasse a ritrovarsi in quel paese di provincia. Lui. Metropolitano. Californiano se fosse californiano. Eppure era come se fosse nato lì. In valle. In riva al fiume. Scorreva come l’acqua verde di arancione. Tornava alla sorgente. Che fortuna. Io non sarei capace di tornare, ritornare, ritrovarmi all’inizio. Ma forse esagero? Che importa? Io guardo, forse, ora, sto solo sbirciando, perché non mi faccio vedere. Ma allora si provi a spiegarmi cosa cavolo si vede in questa benedetta Gioconda. Non riesco proprio a capirlo. E poi l’ho già detto sto ascoltando della musica…
Era quasi nel vertice del triangolo isoscele che lo legava alle mie pupille. Mi gelai. E pensai: ogni tanto bisogna piangere. Bisogna vivere nella sordina di una tromba o dentro al corpo di una donna di Bukowski. Bisogna lasciarsi vivere. Penso che questo noi tutti chiediamo a Luca. Solo ora ne sono un po’ più consapevole. Non sono così intelligente? Già non me lo si faccia notare, non è una cosa che mi rende particolarmente entusiasta. Ecco l’entusiasmo di Ficino, se sono stato ben attento al liceo, era quello che mi sembrava scorgere nel sangue di Luca. Nessun entusiasmo vedevo però in quella corsa. L’ho detto, non gli apparteneva. Ma dove stava andando poi? Gridai fortissimo, da dentro. Mi rispose che era quasi giunto ma che, cavolo, non aveva senso che stesse facendo tutta quella fatica per andare lì. Tagliò corto: non sono ancora sicuro.
Ho sempre invidiato quelle suole. Dentate e colorate in sei punti diversi. Le mie scarpe hanno sempre suole monocromatiche. Cosa posso farci? L’ho preso come concetto esistenziale. Si vede che il liceo mi ha fatto bene. Gioca a calcio Luca. Ma non è il capitano. I capi non hanno bisogno di fasce o stendardi.
Dove corri Luca. Al fiume. Ma perché? Perché corri così? E poi che curriculum. I genitori della sua ex lo adoravano. Una famiglia alla vaniglia. Alla vista gradevole come lo zucchero filato. Quello rosa. Ma non lei, giallissima. Erano perfetti. Insieme. Chissà se era questo il motivo per cui si erano lasciati. Insopportabile la perfezione. Anche un po’ stupida a ben pensare… Io non l’avrei mollata. Ma si capisce, non sono io che decido… Luca, ma pensi di fare il bagno? Ce l’hai il costume? Sarebbe stato affollato il fiume con quel caldo, a quell’ora. Non poteva mica buttarsi nudo come di notte. Se aspetti te lo vado a prendere. Ma era ormai già quasi fuori dal mio campo visivo. Saltai sul mio Ovetto, a manetta. Col casco. Non potevo perdermi il finale. Solo ero molto distante. Perché non taglio nei campi? Già perché no!
Neanche il tempo dell’asfalto, che all’orizzonte Luca svolta destra, direzione fiume. E dai! Muoviti. Giù, in picchiata, per la stradina bianca. Mollo lo scooter. Non si può più proseguire a ruote. Aperto. Non c’è tempo per bloccarlo. Ecco. Luca sei arrivato? Non ancora. Già ma sei al fiume. Non ancora… I sassi grigi erano instabili ma non riuscivano ad arginare la pienezza della sua corsa. La mia abbondantemente. Mi stava sfuggendo. Aspetta! No… si potesse scegliere il corpo ne vorrei uno piccolo e nervosissimo. L’ideale; arrivi ovunque. Luca c’è solo il fiume davanti a te! Vuoi buttarti? Togliti i vestiti. Cosa vuol dire non c’è tempo? Ti bagn… ma perché tutta questa corsa? Perché? Me lo vuoi spiegare? Perché tu, perché ora, perché qua … ma cosa…ah…
Chissà se capii veramente…ma forse sottacqua è l’unico posto dove non si può piangere.

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