Memorandum semiserio di una giornata speciale
Racconto di Valentina

Ci sono cose che ti restano dentro.
Come un lampo di vita che ti attraversa all'improvviso, lasciandoti un po' stordita, pervasa da una sensazione che neanche tu sai spiegare bene.
Ce ne sono di cose così, non tante, ma ce ne sono. Tutto sta a saperle cogliere appena ce le hai tra le mani.
Appena accade.
Appena ti trovi nella girandola caleidoscopica dei preparativi di uno spettacolo.
Perché quello che resta, quello che dà il senso a tutto, non sono le due ore concitate e nervose in cui entri ed esci dal palco.
No, davvero.
Quello che ti resta scolpito nella vita sono i due mesi di preparazione.
Le prove. Gli screzi, accomodati e non.
Quelle due-trecento cazziate del coreografo "cattivo" e, quando proprio superiamo il limite, l'unica, incredibile, di quello "buono".
E tu lì, seduta sul parquet della sala, che ti guardi tra i piedi mentre ascolti e, un po', rifletti.
I propri limiti superati.
Tu, che credevi di non riuscire neanche a metterci un piede su quel palco, ti ritrovi lì, con le luci addosso, il trucco che fatica a stare su, gli occhi della gente puntati su di te e ci riesci.
Semplicemente, ci riesci.
E quello è il momento in cui è giusto fermarsi a pensare, in cui capisci che era qualcosa che mancava alla tua vita, prima.
I due mesi prima dello spettacolo bisogna gustarseli, viverseli, nel profondo.
Capire cosa, davvero, ci sta succedendo.
Innanzitutto c'è il rispetto.
Che è un concetto che sfugge, ai più, diciamocelo!
Il rispetto nelle piccole cose, dal non arrivare in ritardo alle prove a prestare attenzione e serietà a tutti quelli che sono in sala, rispetto è chiedere aiuto a chi è più esperto ed è anche dare questo aiuto senza farsi travolgere dalla propria superbia.
C'è la necessità di saper interagire con gli altri, di prendersi delle responsabilità.
C'è, ed è molto forte, l'urgenza di mettersi alla prova.
Che quando parte la tua canzone e devi scattare sul palco, magari al buio, magari con il fumo negli occhi, magari con le gambe che tremano e la tua memoria cancellata, quello che succede nei successivi 4 o 5 minuti è il concentrato di due mesi di vita e di esperienze che nessuno ti toglierà mai. E sei tu che devi scattare sul palco, mica puoi delegare o sparire.
Il saggio parte la mattina presto.
Suona la sveglia e invece di andare a lavoro, a scuola o all'università ti metti in tuta e corri verso il tetro dove, ammesso che tu riesca a parcheggiare entro fine giornata, ti aspettano circa 12 ore di prove.
Tutti che si lamentano, che sbadigliano, ma non ce ne è uno solo che rinuncerebbe a stare lì, a vivere quei momenti.
Giuro, dell'unico saggio che ho saltato mi manca quella giornata.
I camerini strapieni e colmi di vestiti e borse, di merendine e cellulari spenti, di trucchi ed elastici che si perderanno dopo non più di 10 minuti, di gente che chiede spille da balia e mollette.
Questa è una cosa che non capirò mai: le mollette e le spille da balia.
Voglio dire, anche se hai fatto un solo spettacolo lo sai. Lo sai che la tua vita quella sera sarà legata alla presenza o meno di una molletta e di una spilla in più nel tuo beauty case! Ma non c'è niente da fare, lo spettacolo non sarebbe lo stesso se non ci fosse un sottofondo di voce spezzata dall'impazienza e dalla foga che ti chiede "per favore, una spilla!!!"
Alcuni corrono per le scale, altri provano in quella strana atmosfera che c'è su un palco di teatro alle 9 del mattino.
Sole fuori e luci dentro, vita reale fuori e messa in scena dentro.
E tu sei lì. Nel mezzo.
Non più reale e non ancora personaggio, nella tuta nera e nella maglietta tagliata che usi in palestra.
Ci sono persone che finiscono di fare i costumi, seduti a terra, avvalendosi fino all'ultima goccia della capacità sartoriale che madre natura ha voluto regalargli creando a volte, francamente, delle cose mai viste!
Le scenografie prendono forma nel corso della giornata, ci si improvvisa pittori, falegnami e costumisti.
E sono cose belle, altroché.
Non ditemi che non ve le ricorderete per sempre, qualunque sarà il vostro futuro.
Ballerini o avvocati, attori o commesse, studenti o insegnanti.
La giornata dura un momento e si ha l'impressione che il mondo fuori si fermi e, forse, è per questo che nessuno ha il minimo problema ad andare a pranzo vestito in un modo in cui non ti faresti mai vedere negli altri giorni.
Voglio dire, usciresti di casa un venerdì mattina per andare a fare compere, sudata, con i pantaloni strappati e gli elastici che li tengono, le mutande di fuori, un top e la fascia in testa? Voglio sperare di no.
Ma quel giorno, ce ne fosse uno che si pone il problema, macché, si esce in gruppo e si piomba dentro una pizzeria a taglio (pasto indicato per un gruppo di ballerini a 6 ore da uno spettacolo) vestiti così, con l'atteggiamento di chi pensa che tutta la città sia ferma per il saggio delle 20:00 all'Orione.
Ed è giusto così, quello è un giorno nostro.
Poi, quando meno te lo aspetti, arriva lo spettacolo.
Senti il brusio in sala e capisci che lo stai per fare davvero.
Il cerchio beneaugurale che non deve interrompersi e che è il momento in cui tutte le incomprensioni, le paure e le paranoie si fondono nell'intenzione comune, come una candela in una casa che brucia (bella similitudine, e infatti è P. Roth!).
Il brusio della gente diviso solo dal velluto rosso del sipario. Solo velluto ma due mondi separati, completamente. Loro seduti su poltrone comode e noi sulle spine, loro in una serata qualunque e noi nella Nostra serata. Loro persone qualunque. Noi no.
Da quel momento è caos cosciente, confusione predeterminata, concentrazione da far male.
Però, c'è un momento, solo uno, in cui arriva il senso vero di tutta la serata, e le persone più distratte non se ne accorgono, chiudono gli occhi ed è già il giorno dopo, già è ripartito il film, già è spezzato l'incantesimo.
Dietro le quinte.
Se tu resti lì, fermo, tra le pieghe pesanti di velluto rosso, e guardi proprio quello che hai di fronte gli occhi, forte, e non ti fai fregare dalla stanchezza, dall'adrenalina o dalle distrazioni che una serata così ti fa arrivare addosso come una valanga.
Se tu continui a seguire solo il silenzio che hai dentro, allora puoi vedere quando la serata termina il suo corteggiamento e, piano piano, con eleganza, si ritira.
Perché la felicità di una serata così è un dialogo personale, muto e breve, nel frastuono delle musiche, nel fuoco d'artificio di colori, nella sequenza sincopata delle scene, nelle corse da una quinta all'altra, negli urli del post esibizione, nella voglia di tornare sul palco.
Nel senso di appartenenza.
La felicità di una serata così è aver messo qualcosa di bello nella propria vita.
Nell'aver creato una bellezza alternativa e nell'averla condivisa.
Nell'aver fermato il mondo, per un giorno, e averci messo dentro la passione, e i sogni, e il frastuono e la rabbia, ed il coraggio.
La felicità di una serata così è saper salvare un ricordo, farlo durare, e dargli spazio.
Un fatto di corteggiamento, ed eleganza.

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